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Come si spiega il bullismo ai bambini?

Sommario

Ce ne parla Simone Gargiulo, lo psicologo responsabile di Di-RITTO al Bullo, il progetto di sensibilizzazione sul bullismo realizzato dall’associazione OSIDEA.

Premessa

Di-RITTO al Bullo è il progetto finalizzato alla sensibilizzazione e prevenzione del bullismo realizzato da OSIDEA in collaborazione con lo psicologo Simone Gargiulo.
Il progetto, rivolto agli alunni delle classi quarte e quinte della scuola primaria, ha l’obiettivo di prevenire l’insorgenza di comportamenti prevaricanti, stimolando nei bambini un percorso di conoscenza del fenomeno che passa attraverso l’identificazione degli stadi che ne caratterizzano l’evoluzione.
In particolare:

  • riconoscimento dei fattori di rischio collegati al mancato riconoscimento dei diritti altrui
  • alfabetizzazione emotiva
  • consapevolezza dei diritti violati

La strutturazione del progetto e la metodologia utilizzata rappresentano un esempio di buona pratica, replicabile e innovativo per la prevenzione del fenomeno del bullismo.

Definizione di bullismo 

Prima di addentrarci nei dettagli di questo progetto e di illustrarci il modo in cui spiega il bullismo ai bambini, il Dott. Simone Gargiulo ci darà una definizione di bullismo e cyberbullismo.

“Per dare una definizione di bullismo citerò Dan Olweus, uno dei più autorevoli studiosi del fenomeno bullismo e il primo in Europa ad aver condotto degli studi sul campo che gli hanno permesso di evidenziare che il bullismo si verifica esclusivamente tra i coetanei.

Il bullismo è un insieme di comportamenti che vengono messi in atto da uno o più compagni verso uno o più compagni e che devono avere tre caratteristiche:

  • intenzionalità dell’azione aggressiva (il soggetto deve aver intenzione di fare del male)
  • ripetizione nel tempo (l’azione deve essere reiterata e continuativa)
  • squilibrio di potere (parte che prevarica detta “bullo” e parte che subisce detta “vittima”)

Nella definizione di Dan Olweus si utilizza il termine “compagni” perché, in genere, è proprio nella scuola che il bullismo si presenta. Il bullismo si può verificare anche in ambiente extra-scolastico, ma in questo caso ci si riferisce comunque a contesti collegati alla scuola.

Scena di bullismo a scuola

Tutte le altre forme di prevaricazione e di aggressività oltre i 18 anni e quindi oltre quella che è considerata l’età scolastica, non dovrebbero infatti essere ricondotte al bullismo. Ciò è molto importante da sottolineare perché i bambini e i ragazzi devono comprendere che il bullismo non coinvolge nel ruolo del bullo o della vittima l’adulto (per esempio l’insegnante, il genitore, ecc.).
Il bullismo
si verifica esclusivamente tra coetanei e in età scolastica e non in altre fasce d’età. Si parla spesso di bullismo anche tra adulti, ma se in qualche modo si verifica una situazione di prevaricazione tra adulti questa non va ricondotta al bullismo, bensì al “mobbing” che si verifica in genere nei luoghi di lavoro o al “nonnismo” che riguarda invece gli ambienti militari.

Tornando invece alle tre caratteristiche del bullismo, lo studioso norvegese ci dice che le azioni oltre a essere intenzionali e continuative devono essere rivolte da uno o un gruppo di bambini e ragazzi verso uno o più bambini e o ragazzi e che questi soggetti devono essere sempre gli stessi soggetti. La relazione diadica tra “bullo” e “vittima” può essere definita tale, solo se i soggetti coinvolti sono sempre gli stessi.
È vero che a volte quando si ha il caso di “vittima aggressiva” o di “vittima provocatrice”, questa a sua volta può assumere il ruolo di bullo. Ma ciò può accadere solo nei confronti di un altro soggetto. La vittima non sarà mai il bullo del suo bullo.

Cosa è il cyberbullismo

“Citando ancora lo studioso Dan Olweus, si può dire che il cyberbullismo è figlio del bullismo.

Per cyberbullismo non si intende infatti qualcosa di separato dal bullismo perché in sostanza ci si riferisce comunque a tutte quelle azioni di bullismo “classico” che però si manifestano attraverso i mezzi tecnologici (social network, app di messaggistica istantanea, chat di giochi online, ecc.). La differenza sta nella ripetizione dell’azione. Nel cyberbullismo la ripetizione dell’azione può presentarsi in modo diverso: un’azione si ripete attraverso la condivisione che la rende virale e quindi visibile a un numero illimitato di persone.
Per esempio: mentre nel caso di invio di messaggi offensivi ci può essere la ripetizione nel tempo, nel caso di invio di video, un unico episodio di bullismo filmato seppur non ripetuto nel tempo diventa ripetibile attraverso la condivisione che ne aumenta la sua visibilità in modo incontrollato.

Il progetto nelle scuole: come si spiega il bullismo ai bambini?

“Il progetto Di.RITTO al Bullo è dedicato agli alunni delle classi quarte e quinte della scuola primaria ed è strutturato in una serie di incontri della durata di due ore.
Gli incontri sono strutturati in due parti:

  1. le emozioni – in questa prima parte si cerca di promuovere e stimolare il pensiero critico, cioè quello che permette di riflettere su determinate emozioni e sul motivo della loro esistenza (quindi non una semplice presentazione didascalica delle emozioni, espressioni facciali, espressione corporea, ma una vera riflessione sul perché le emozioni si manifestano e sul perché è importante riconoscerle e comprenderne il significato)
  2. il bullismo in generale e il bullismo nella sua versione tecnologica, ovvero il cyberbullismo – in questa seconda parte si spiega il bullismo ai bambini, si spiega quali sono i soggetti i coinvolti e quali sono le emozioni chiave del fenomeno del bullismo (in questa fase di apprendimento si crea il punto di incontro tra i due argomenti principali del progetto, emozioni e bullismo, e su come questo incontro sia fondamentale per la prevenzione del fenomeno)

Una volta che si introduce il termine “bullismo” e si dà una definizione di bullismo e di cyberbullismo, definizioni che spesso i bambini non conoscono o non conoscono in modo adeguato, ci si sofferma sui tre aspetti principali del bullismo e quindi su:

  • intenzionalità dell’azione aggressiva
  • ripetitività dell’azione aggressiva
  • squilibrio di potere tra il bullo, il soggetto che compie l’azione aggressiva e la vittima, il soggetto che la subisce

Si spiega cioè meglio cosa vuol dire intenzionalità e ripetitività e poi si definiscono le caratteristiche dei due ruoli coinvolti: bullo e vittima.
Durante gli incontri si descrivono quindi i due distinti ruoli e poi si analizzano i loro comportamenti e le loro reazioni, basandosi in modo particolare sulle emozioni che i due soggetti provano.
Far capire ai bambini che saper riconoscere l’emozione altrui per accorgersi se si sta verificando una forma di bullismo, è fondamentale.

Si fanno quindi delle simulazioni che aiutano a cogliere le varie dinamiche che si presentano durante un episodio di bullismo. Per esempio si presenta il caso in cui se la “vittima” si copre il viso, per il “bullo” o per chi assiste all’episodio non è possibile cogliere l’espressione dell’altro e quindi non è neanche in grado di capire cosa sta provando. Non può dunque né riconoscere l’emozione dell’altro, né capirla e né tantomeno intervenire o far intervenire l’insegnante.

Bambino che si copre il viso a causa di atti di bullismo

 

Capire quali sono le emozioni legate al fenomeno del bullismo è un passaggio determinante per prevenirlo o farlo cessare. La capacità che l’essere umano ha di comprendere le emozioni è l’empatia, occorre però prestare molta attenzione al tipo di empatia da mettere in atto.

Esiste infatti lempatia emotiva (quando provo quello che sta provando l’altro) e  l’empatia cognitiva (quando riconosco quello che sta provando l’altro).

In una situazione di bullismo il bullo sa e capisce che la vittima sta soffrendo, perché è dalla sua sofferenza che trae la motivazione delle sue azioni e ha la certezza di aver raggiunto il suo obiettivo (“io ho il potere e lo ottengo se vedo che un altro è succube delle mie azioni”).
Questo conferma appunto che il bullo possiede l’empatia cognitiva, mentre è evidente che a mancargli è l’empatia emotiva. Il bullo non prova le stesse emozioni della vittima perché, sostanzialmente, non sa e non è in grado di “mettersi nei panni degli altri”.
Non è che non lo capisce (anche se in alcuni casi accade, ma qui dipende dalla tipologia di bullismo), perché solitamente il bullo lo capisce che la vittima sta soffrendo, ma non prova le sue emozioni a causa di meccanismi di disimpegno che si mettono in atto quando l’empatia emotiva non è sufficientemente sviluppata. 

Aiutare i bambini a sviluppare questa capacità è basilare per prevenire e combattere il bullismo.”

Qual è l’età più adatta per iniziare a spiegare il bullismo ai bambini?

“La sensibilizzazione sul fenomeno del bullismo dovrebbe partire dalla scuola dell’infanzia (3-4 anni), ma come? Di certo non parlando di bullismo a bambini così piccoli, ma agendo su tutti quei comportamenti di natura pro-sociale che in genere si sviluppano in quella fascia di età. Si agisce quindi attraverso delle attività di gruppo che promuovono la collaborazione, che facciano capire che nella diversità si è tutti uguali e quindi sull’accettazione dell’altro.

In quegli anni i bambini stanno imparando a socializzare e, perciò, vanno aiutati in questo processo in modo che capiscano che ci sono delle azioni e dei comportamenti che possono creare disagio e/o nuocere ad altri bambini.

Anche se spesso accade che degli insegnanti segnalino episodi di bullismo già nella scuola dell’infanzia, se si analizza l’episodio da un punto di vista scientifico questo non può ancora definirsi bullismo ma si riconduce a una forma di simil bullismo. Al momento infatti non ci sono delle ricerche specifiche che attestino l’esistenza del bullismo nell’infanzia.

In ogni caso è proprio da questa fase che si deve e si può lavorare, perché prima si inizia con attività dedicate alla promozione di comportamenti pro-sociali che controbilanciano il bullismo e prima si otterranno risultati utili in ottica di prevenzione.

Attualmente purtroppo non esiste ancora nessun progetto che elimini del tutto il bullismo. Uno dei motivi è dovuto al fatto che il bullismo è un qualcosa di dinamico, le azioni sono dinamiche e i soggetti cambiano nel tempo. Quindi partire dall’infanzia, ma anche dalle prime tre classi delle scuole primarie con progetti ad hoc, sarebbe sicuramente molto più incisivo in termini di consapevolezza e prevenzione.

Cosa possono fare gli adulti?

“In un contesto scolastico i primi adulti ai quali i bambini vittime di bullismo potrebbero fare riferimento sono gli insegnanti. Fuori dalla scuola gli adulti a cui chiedere sono di solito i genitori, ma anche gli zii, i nonni o, anche se ancora non adulti, i fratelli e le sorelle.

Non sempre, purtroppo, chi subisce prevaricazioni chiede l’intervento dell’insegnante o l’aiuto di un compagno. I bambini potrebbero dunque provare a parlarne ai genitori ma il più delle volte, come viene sottolineato nel progetto, questo non accade.

Perché non accade? Perché le vittime non sempre possiedono quelle competenze che permettono loro di comprendere che stanno subendo atti di bullismo. Quando si pensa alla vittima di bullismo la si deve immaginare come se fosse “imprigionata”. Questa immagine della vittima imprigionata è la figura metaforica che rende meglio il senso della sofferenza provata. Il bambino o la bambina vittima di bullismo può non riuscire a parlare con in genitori per diversi motivi ed emozioni contrastanti, ma soprattutto per la paura e la vergogna provate.

Il genitore, in ogni caso, deve stare attento ai segnali che il bambino o la bambina inviano. Questo può essere un grande aiuto per loro.
Chi subisce atti di bullismo
deve trovare il coraggio di parlarne, anche se non è semplice. Noi lo sottolineiamo sempre in questo progetto: invitiamo i bambini a parlare con i genitori ma anche con gli insegnanti, affinché possano essere rassicurati del fatto che loro non sono e non saranno mai soli. Questo messaggio lo ribadiamo più volte, perché dal bullismo non si esce da soli. Far passare il tempo senza fare niente non fa passare niente, anzi aggrava le cose.”

Bambini in aula che alzano la mano per richiamare l'attenzione del docente

 

Ecco perché è importante parlare di bullismo nelle scuole e, se possibile, iniziare sin dalla scuola dell’infanzia. La scuola è un contesto educativo e istruttivo in cui ciò che viene detto viene preso come una informazione da acquisire e imparare. Conoscere in modo graduale il fenomeno del bullismo rende i bambini in grado di riconoscere atteggiamenti e comportamenti non accettabili e li rende capaci di reagire e di aiutare le vittime a parlarne con gli adulti.

Il bullismo è un fenomeno che è sempre esistito e se anche non esistono soluzioni definitive, col progetto Di.RITTO al Bullo siamo consapevoli di dare un contributo importante. Se, come appunto ho detto, il bullismo si manifesta tra coetanei in età scolastica, il nostro compito di adulti è far sì che sempre più bambini e ragazzi possano contare sulle loro forze e su quelle di noi adulti.

Conclusioni, saluti e prossime iniziative con OSIDEA

“Nel corso di questi tre anni, i docenti e i dirigenti degli istituti scolastici presso i quali è stato realizzato il progetto Di.RITTO al Bullo, hanno sempre manifestato un grande entusiasmo e un alto grado di soddisfazione per le attività svolte e i risultati ottenuti.

Questo ha permesso a me, alla tutor Emanuela Gargiulo e a Paola Pinna, la presidente di OSIDEA, di avere la conferma che il percorso proposto è un percorso che può essere non solo ripetuto, ma anche integrato con altre attività.

Perciò, visto il vivo entusiasmo manifestato dai bambini durante le attività del progetto e la crescente richiesta da parte degli insegnanti di realizzare altri progetti di questo tipo, posso già anticipare che nei prossimi mesi assieme ad OSIDEA, sarà proposto un nuovo speciale progetto dedicato al tema del bullismo e del cyberbullismo. L’unica cosa che posso aggiungere ora è che, il nuovo progetto, riguarderà in particolar modo non i bambini ma gli adulti.

Per saperne di più, tenetevi aggiornati sui social OSIDEA!

 

                                      
Simone Gargiulo

Cyber-psicologo e media educator in progetti di prevenzione ai rischi del web e al bullismo rivolti agli alunni, adulti, professionisti della salute, Team Antibullismo e in corsi di Peer  Education.
Docente a contratto del Master in Criminologia e psichiatria forense dell’Università della Repubblica di San Marino (A.A. 2021/22).

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